Una Pasqua serena in una ridente cittadina del Sud

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Non è che ci sia tanto da raccontare in questi giorni di Pasqua. Sono tornata a casa mia, dove non abito ma dove c’è la mia famiglia.

Non è che ci sia tanto da raccontare in questi giorni di Pasqua.
Sono tornata a casa mia, dove non abito ma dove c’è la mia famiglia.
Taranto è una città dove tutto si svolge tranquillamente.

La presenza dell’Ilva ha avuto il merito di fare andare la città sulla copertina de L’Espresso. Siamo in cima a classifiche nazionali, addirittura europee, per via dell’inquinamento e per la produzione di diossina. Condividiamo un po’ di primati con Brindisi ma non si può primeggiare sempre da soli. 1.200 decessi annui per neoplasie. Ho dovuto leggere e rileggere più volte la cifra, credendo si trattasse di un errore di battitura o di un calcolo decennale invece che annuale.

Non c’è più un sindaco. La rampante forzista che aveva incarnato lo spirito più becero altoborghese tarantino, una che si chiama Di Bello ma che si è comportata in modo radicalmente opposto al suo nome, si è dimessa un nanosecondo prima che scoppiasse lo scandalo degli stipendi d’oro. Impiegati comunali che prendevano fino a 30 mila euro al mese. La sindachessa si è dichiarata estranea agli accadimenti. Firmava e basta. Lo scandalo ha fatto emergere un buco finanziario della città che si aggira attorno agli 800 milioni di euro. Dunque, Taranto è in dissesto e ai cittadini sono state aumentate le tasse per far fronte alla situazione. Per tutta risposta la signora, visto che forse si annoiava, ha aperto una gioielleria in centro.
Pasqua a Taranto è un momento molto sentito. Soprattutto per via delle famose processioni. Esistono dalla fine del ‘700. Due giorni interi in cui il centro della città è inondato da suoni delle bande che accompagnano i cortei delle statue. I Perdoni, scalzi, percorrono in coppia le processioni.
Si inizia giovedì notte con l’uscita dell’Addolorata dalla Chiesa di San Domenico dalla città vecchia. È oggettivamente la visione più suggestiva, oltre al fatto che la parte più bella di Taranto, ma anche la meno frequentata, si riempie di gente. Per tutta la notte la Madonna percorre a passo lentissimo Taranto Vecchia, attraversa il ponte girevole e rientra il giorno seguente. I più fedeli vanno a vederla all’alba, i più mondani si ritrovano verso le due, tre di notte per bersi una birra Raffo in compagnia.
Il giorno seguente è la volta della processione con tutte le statue che descrivono la passione di Cristo. Si inizia dalle cinque di pomeriggio. Stavolta escono nella città nuova, dalla prestigiosa chiesa del Carmine, pieno centro, dove ha perfino aperto un negozio di Zara. Pare che un tempo alla processione si stava in silenzio, per rispetto, che la gente si commuoveva, che si chiedeva perdono, che insomma si vivesse lo spirito religioso in modo un pochino composto. Ora ci sono cellulari che scattano foto alle statue di passaggio, insegne luminose dei negozi, vetrine illuminate, bar pieni di gente, bottiglie per terra, gran vociare. La cosa che più mi ha colpita è che anche nei bar di Taranto i baristi sono nevrotici. Straordinaria la globalizzazione.
Storicamente le statue non vengono portate in spalla a caso. C’è un prezzo. La domenica delle Palme avviene un’asta. Quest’anno per portare le statue più prestigiose e ambite si è arrivati a 75.400 euro per la Madonna e 80.400 euro per il Cristo Morto. Cristo all’Orto solo 6.450 euro.
Insomma, in senso non troppo figurato, si paga per espiare i propri peccati.
E poi arriva la Santa Pasqua. Papa Ratzinger era proiettato anche nello schermo di un bar a colazione. Meno male che qui si mangia bene, che il calore della famiglia è indispensabile, che si ride in compagnia. E meno male che non accade mai niente qui da raccontare, ci si rilassa prima di tornare alla frenesia di tutti i giorni.
Ah, no, una cosa è successa, oltre a un ennesimo incidente all’Ilva (ma sono cose che capitano, spesso): una mostra di bei bianco e nero. Foto che ritraggono le processioni, con opere – che ho scattato a mia volta per quanto belle – di Antonello Papalia, Fabio Remo Papalia, Federico Passariello, Paolo Ruta. Stavano in piazza, una piazza vuota in una assolata e tranquilla domenica di Pasqua.

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