Il micro-minimalismo di Francesco Burroni

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Dice di aver inventato una nuova corrente letteraria: il micro-minimalismo. Un esempio di poesia? Titolo: “Orgasmo poco soddisfacente di una mucca”.

Dice di aver inventato una nuova corrente letteraria: il micro-minimalismo. Un esempio di poesia? Titolo: “Orgasmo poco soddisfacente di una mucca”. Non è difficile intuirla, ma sentirla interpretare dal vivo è tutt’altra cosa. Francesco Burroni si muove perfettamente a proprio agio di fronte al pubblico, come si addice ad un attore di vecchia data. Anzi, chiede l’avvicinamento degli spettatori che per chissà quale forma di timidezza tendono a lasciar vuote le prime file. Il pubblico in questione è quello della Scuola Omero, lo spazio è la sala congressi di Villa Maria. L’occasione, la festa del tesseramento del Club Omero. E Burroni è l’ospite che ha il compito di intrattenere. Corsi e scuole teatrali sparsi per tutta la penisola, ha una lunga esperienza come poeta estemporaneo. È a lui che si deve la diffusione in Italia del match di improvvisazione nel 1989, che ha permesso a questa forma di espressione di riprendersi il giusto spazio che le spetta, in un mondo dell’arte che ha dato sempre più spazio al regista piuttosto che all’attore.
Legge e interpreta le sue creazioni, e ascoltandolo viene in mente una buffa immagine: un giocoliere che riesce a tenere per lunghi istanti in equilibrio sulla fronte una pallina, per poi farla ruotare in aria insieme a tante altre, e il gioco si ripete, e a volte le palline hanno colori diversi tra loro, a volte hanno un’unica tinta. Un giocoliere, si, e ciò che volteggia nell’aria sono le consonanti e le vocali, che vanno su e tornano giù. Burroni fa quello che vuole con la lingua italiana. A dire il vero lo fa anche con il dialetto senese. Lo strizza, l’allunga, lo strapazza, e lo fa con una disinvoltura che stupisce. Il gioco sembra facile da imitare, ma è solo un’impressione. Le palline crolleranno miseramente a terra al primo tentativo.
Perché – deve aver pensato l’attore – sprecare tante lettere per comporre una poesia quando si possono esprimere sentimenti profondi utilizzando anche solo una consonante? Urge un esempio: il “Sonetto monoconsonantico in M”:

Emma mi ama! Ma io amo Emma?
O amo Mimma? (e Mimma è mamma a Emma!)
O mamma mia! Ahimé! Mai, mai
Emma m’amò. Ma io…mi amai?

Emma ama me o ama Mimmo?
E Mimmo ama? Ma Mimmo è mimo!
Mimmo ama i mimi… i miei mimi!
O ama me? Mah…? Ma Mimmo è omo?

Ma io (omo!!!) mai amai Mimmo.
Oh! Io amo Emma, Mimma e Mea!
Oh Mea…Mea…! (E Mea è mamma mia!)

Amai Emma, Mimma e mamma (e Mimmo mai!)
Ma mamma mia mai…mai…m’amo!
Amami mamma (o Mimma, o Emma, o muoio!)

Certo però che si, c’è un notevole risparmio di consonanti, ma si può vedere anche un inaccettabile spreco di vocali. Ma a questo Burroni pone un facile rimedio, proponendo un verso con una sola consonante e una sola vocale. Si intitola “Incertezza dell’amore materno”:

Ma mamma m’ama? Mah!

È impossibile spiegare cosa sia l’ispirazione per un artista, però si può parlare dei luoghi in cui si è avuta l’intuizione giusta. È con questi sonetti-confessione che si è conquistato definitivamente il pubblico cittadino. Ingenuo o inutilmente romantico chi pensa che il poeta componga dopo aver fissato negli occhi la propria amata o di fronte ad un incantevole tramonto. Tanto per cominciare, si scrive nei molti tempi morti della vita di un attore. Ad esempio, durante le riprese di un film. Perché, fa notare Burroni, fare un film è tutto un tempo morto, e ogni tanto si gira una scena. E poi, c’è il luogo quotidiano per eccellenza: la tangenziale est di Roma. È un modo per far uscir contenti un po’ tutti dalla sala: non si avrà più l’impressione di sprecare metà della propria esistenza in fila dentro scatolette di metallo. E, nei rari giorni in cui Roma è graziata dal traffico, non vi è rischio di rimanere privi di ispirazione: c’è sempre la ricerca del parcheggio.

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