Di cosa parliamo quando parliamo di Carver

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Di parole nette, di punti, di respiri. Di silenzi. Di cose. Non c’è spazio in Carver per i concetti, per il pensiero. Non sono mai riuscita a capire come diavolo...

Di parole nette, di punti, di respiri. Di silenzi. Di cose. Non c’è spazio in Carver per i concetti, per il pensiero. Non sono mai riuscita a capire come diavolo abbia fatto a mantenere la sua scrittura sempre talmente terrena da sfociare irrimediabilmente nell’anima più profonda. Il meccanismo è esattamente lo stesso della poesia. E infatti Carver è un poeta prima di essere scrittore di racconti. Non è un romanziere, non avrebbe potuto esserlo. L’intreccio, la trama, la costruzione dei personaggi e la loro evoluzione non gli importano un fico secco. Certo, nei racconti, soprattutto in quelli della raccolta Cattedrale, tutto questo c’è ma è come se non fosse voluto, è inevitabile, ma non è cercato. C’è una spontaneità, seppur costruita, che è quella del verso. Lo sappiamo bene che il verso è per forza di cose un artificio, nel senso di fare arte, tra i più sottili. Ma il risultato dell’artificio deve, per forza, essere la naturalezza. È nel momento che si insinuano le parole di Carver. Lo sanno dilatare il momento fino a renderlo assoluto. È come un assolo (stessa radice di assoluto e strana somiglianza con l’inglese soul, anima). Deve per forza durare poco per funzionare. Poi smette, all’improvviso, con chiusure che lasciano senza fiato, ed è lì che si comincia a sentire quanto abbia scavato. Il modo più immediato e inequivocabile per capire quanto una poesia funzioni è quanto silenzio apre nel lettore. E allo stesso tempo quanto spazio. Lo spazio entro cui Carver si muove sembra sempre lo stesso. Quasi fino all’ossessione. Anche se la sua scrittura non ha nulla a che vedere con claustrofobiche nevrosi. Il suo respiro è lento. Quasi rassegnato. Si osserva, si guarda, si descrive in ogni impercettibile sfumatura di movimento interiore. Ma il movimento interiore non agisce su se stesso, agisce sugli oggetti che lo circondano. Carver si orienta con le cose che lo circondano. Stessi panorami, stesse passioni, stesso passato, ma l’evoluzione della sua visione cambia, eccome.
In questo senso, il titolo della raccolta di tutte le poesie di Carver, Orientarsi con le stelle (appena pubblicata da minimum fax, 17,50 euro, traduzione di Riccardo Duranti) coglie proprio questo aspetto.
Rayomond Carver, dopo una vita di stenti e di tremenda dipendenza dall’alcol, vive i suoi ultimi anni con la poetessa Tess Gallagher. Grazie a lei conosce il periodo più felice della sua vita. Perfino il sopraggiungere del tumore polmonare non gli impedisce, fino ai suoi ultimi cinquant’anni, di scrivere.
L’amore con Tess gli ha permesso non solo di finire i suoi giorni in una quiete e luce mai vissute ma è anche stato il modo affinché tutti i suoi scritti venissero raccolti, spronati a venir fuori e infine diffusi. Tess è stata la fautrice delle sue raccolte, l’instancabile fonte di ispirazione e infine l’ideatrice di quest’ultima raccolta che riassume tutto il lavoro poetico di Carver.
È Tess Gallagher che firma la prefazione:
“Ray aveva scritto poesia e narrativa in parallelo sin dal 1957. Questa raccolta, che copre un periodo di oltre trent’anni, ci permette di comprendere come la poesia non fosse qualcosa cui si dedicava tra un racconto e l’altro. Era piuttosto la corrente spirituale da cui muoveva per scrivere i racconti, grazie ai quali, dopo la morte, sarebbe stato definito dal Guardian di Londra “il Checov americano”. Ora che la produzione poetica di Carver è stata raccolta nella sua interezza, il suo volume e il suo spessore possono essere finalmente apprezzati”.
“Ray aveva gradualmente fatto suoi alcuni miei atteggiamenti relativi al concetto di tempo nella poesia: in primo luogo, che si trattava di qualcosa di più del tempo vissuto e che, quindi, poteva estendere la portata spirituale di ognuno di noi. La mia sensazione che tutto il tempo – passato, presente e futuro – sia a portata di mano nel momento in cui si scrive la poesia (Non ricorda T.S. Eliot nei Quattro Quartetti? n.d.r.) gli è stata di grande aiuto. Ha così permesso a se stesso di rivedere cose scritte in passato alla luce del momento presente, vissuto come definitivo e rigenerante. Dalle prime alle ultime, le poesie sono meravigliosamente chiare, e questa limpidezza, come il dolce fragore dell’acqua sorgiva in bocca, non ha bisogno di giustificazione. Il tempo trascorso a leggere le poesie di Ray diventa subito fecondo, perché i suoi versi si concedono con la stessa facilità e spontaneità del respiro. Chi non sarebbe disarmato da una poesia che richiede da noi così poco, rispetto a quanto generosamente concede? “
“Molte voci poetiche americane degli ultimi trent’anni si sono spinte lontano, anche troppo, sulla strada della sincerità. Ancor più numerose sono quelle che hanno presentato il contenuto triste e spesso tragico della loro vita come principale moneta di scambio. La loro sincerità spesso sottende a una sottile specie di autopromozione, un tentativo di convincere essendo espliciti, svuotando lo zaino ai piedi del lettore, sperando di ottenerne come ricompensa l’attenzione a ogni costo. Tali scrittori si ritengono audaci e coraggiosi per aver divelto la porta del confessionale. La poesia di Ray sfugge alle insidie del meramente sincero, creando un altro tipo di rapporto con il lettore. Non sperimenta il legame del commercio, ma quello della reciprocità. La voce delle poesie è, in effetti, autoreciproca, sdoppiata e compagna di se stessa, e si esprime a un livello talmente alto per tono e atteggiamento che, in verità, proviamo un grande sollievo per non essere chiamati in azione di soccorso, né allettati a manifestare falsa commiserazione.”
“Ray faceva sembrare ciò che è estatico una cosa comune, alla portata di tutti. Sapeva anche qualcosa di essenziale, che troppo spesso viene sacrificato a preoccupazioni minori: che la poesia non è semplicemente reticenza servita al posto di ciò che intendevamo dire. È un luogo dove essere aperti e riconoscenti, per fare spazio e accogliere quegli avvenimenti e quelle persone che più sono vicine al nostro cuore”.
“La poesia non è semplicemente reticenza al posto di ciò che intendevamo dire”. Sentitelo Carver. Vi dirà tutto. Purtroppo non ce la faccio proprio a trascrivere le sue poesie. Ne ho troppa ammirazione e rispetto per poterle ribattere. E sarebbero troppe quelle che amo. In ogni caso, in Orientarsi con le stelle ci sono davvero tutte, anche qualcuna in più.

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