Gli ultimi saranno i primi. Forse

di

Data

“Gesù dice nel Vangelo che gli ultimi saranno primi… solo che si è dimenticato di dire quando”. Fulminante l’ultima battuta; non ci si poteva aspettare di meglio considerato il ritmo...

“Gesù dice nel Vangelo che gli ultimi saranno primi… solo che si è dimenticato di dire quando”. Fulminante l’ultima battuta; non ci si poteva aspettare di meglio considerato il ritmo sostenuto di tutto lo spettacolo. Paola Cortellesi ha avuto il merito di riempire i teatri di tutta Italia con il suo lavoro “Gli ultimi saranno ultimi”, che ha avuto così tanto successo da esser riproposto per la seconda stagione consecutiva. All’Ambra Jovinelli fino al 5 novembre, le tappe successive toccheranno diverse città tra cui Bologna, Milano, Palermo. E una volta tanto lo spettacolo – scritto da Massimiliano Bruno e dalla stessa Cortellesi – è piaciuto in egual misura a pubblico e critica, guadagnando numerosi riconoscimenti. Primi fra tutti il “Premio ETI – Gli Olimpici del Teatro” come migliore interprete di monologo, il Premio della Critica 2006” ed infine il “Premio Anima” ricevuto per l’attualità delle tematiche affrontate.
Chissà in quale percentuale avrà influito la fama dell’attrice dovuta alla televisione nella decisione di molti di recarsi a teatro. A ben pensarci un tale calcolo è irrilevante, se il risultato è quello di ridare fiato ad un settore della cultura perennemente in crisi. E poi c’è da dire che ciò che viene proposto sul palcoscenico non è affatto un collage di sketch visti e rivisti sul teleschermo. Si tratta invece di una “tragicommedia all’italiana”, come è stata definita dalla critica. “C’era l’esigenza – confida l’attrice – di raccontare questa storia legata al mondo del lavoro, una storia popolare e al femminile”. L’esigenza, è chiaro, deriva dalla realtà sociale nella quale si vive. Luciana è dipendente di una multinazionale, che si vede rifiutare il rinnovo del contratto al settimo mese di gravidanza. In preda alla disperazione decide di prendere in ostaggio la dirigente d’azienda e chi malauguratamente si trovava nei pressi del suo ufficio. Diciamo la verità: una piccola soddisfazione che qualunque impiegato sogna di prendersi almeno una volta nella vita. Intorno a questa vicenda che dura il tempo di una notte ruotano diversi personaggi – sei in tutto -, tutti magistralmente interpretati dalla Cortellesi. La quale regge l’intero spettacolo riempiendo da sola la scena, facendo mostra della sua bravura passando in un attimo dal calabrese al veneto e viceversa.
“Gli ultimi saranno ultimi”, dice il titolo, e all’inizio tutto sembra ovvio, e si trova conferma in quanto letto nella rassegna stampa – quella che ti rovina lo spettacolo perché racconta tutto per filo e per segno e che ti penti di aver spulciato un attimo dopo esser giunti all’ultima riga – prima di sedersi sulle poltroncine. La critica alla precarietà, ecco il senso della rappresentazione. È lampante, non può esserlo più di così: la dipendente di bassa estrazione sociale che cerca giustizia e un po’ di umanità in un mondo, quello del lavoro, dove sia l’una che l’altra scarseggiano decisamente. Soprattutto per chi non ha i mezzi per difendersi e sarebbe disposto a qualunque tipo di umiliazione pur di tener cara la pur magra busta paga. Il tema è spaventosamente attuale, e non è un caso che a rappresentare i lavoratori ci sia una figura femminile. La scelta nasconde una seconda critica: l’atrocità davanti alla quale si trova davanti una donna oggi, nel dover soppesare le priorità della vita. Il quesito è sempre lo stesso: lavoro più o meno certo o maternità? Perché le due cose difficilmente sono conciliabili. “Io non licenzio nessuno, ho detto solo che non rinnovo i contratti a termine”; questa la cinica risposta della dirigente. E mentre l’attenzione viene poco alla volta ripartita tra i diversi personaggi, seguendo la Cortellesi nelle sue evoluzioni dialettali si capisce che sotto sotto c’è molto di più. Precarietà, si, ma non solo nel lavoro. Ce n’è un altro tipo, più sottile, più insinuante, e indubbiamente più difficile da debellare. Eccola lì la donna di successo, la manager che rimane fino a tardi in ufficio perché tanto non trova nessuno ad aspettarla a casa. Il suo piccolo segreto sarebbe imbarazzante da confessare: come ammettere senza vergogna di passare ore davanti al computer nelle chat erotiche? Niente di male nel trovare nuove amicizie telematiche, però diamine, che solitudine c’è dietro. Poi c’è la poliziotta nordica, che cerca disperatamente la sua femminilità, ed arriva a chiedere aiuto ad un transessuale colombiano. Il quale riesce ad essere molto più donna di lei, anche se solo su un marciapiede. Storie che si incrociano almeno per una sera, che apparentemente non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra, ma che rientrano sotto lo stesso titolo: tutti i protagonisti sono gli ultimi di cui parla il titolo. Non importa l’età, non importa la classe sociale o l’area geografica a cui si appartiene. Non importa neppure il tipo di contratto lavorativo che si può vantare. Se di precarietà si vuol continuare a parlare, a questo punto è meglio definirla precarietà sociale. Quella che investe tutti, chi è ancora in cerca di una propria identità – che possibilmente rientri in una delle categorie accettate dalla società -, chi cerca di sfuggire alla solitudine che si è costruita intorno. Persone isolate, incattivite, tristi, indifferenti alle altrui sofferenze. Ecco un quadro dell’uomo moderno, ovvia conseguenza della modernità, presentato nelle diverse sfaccettature.
“Gli ultimi saranno ultimi”, e non c’è scampo a questa logica. Piuttosto, viene da chiedersi chi sono dunque i “primi” in una società impazzita, in cui vige un paradosso: non è la collettività che conta, ma solo l’individuo. Solo che questo è lasciato a se stesso. Certo, può imparare a nuotare da solo. Ma l’alternativa è una sola: affogare.

Altri racconti
in archivio

Sfoglia
MagO'