
La stessa persona può essere, senza la minima contraddizione, di cittadinanza americana, di origine caraibica, con ascendenze africane, cristiana, progressista, vegetariana, maratoneta, storica, insegnante, romanziera, femminista, eterosessuale, sostenitrice dei diritti dei gay e delle lesbiche, amante del teatro, militante ambientalista, appassionata di tennis, musicista jazz e profondamente convinta che esistano esseri intelligenti nello spazio con cui dobbiamo cercare di comunicare al più presto (preferibilmente in inglese)”. Sarebbe divertente e senz’altro istruttivo se ciascuno si mettesse d’impegno nel compilare una lista simile non omettendo alcuna caratteristica che consenta di delineare un individuo unico e diverso da tutti gli altri. Si verrebbero a scoprire cose interessanti sul proprio conto che venivano tenute in un cantuccio senza che fosse dato loro molta importanza – per rendersi conto poi che gran parte delle proprie azioni derivano da tali nascoste convinzioni. Ma l’intento di Amartya Sen non è quello di portare ad un’auto-analisi psicanalitica il lettore. In Identità e violenza, recentemente pubblicato da Laterza, l’autore – considerato uno dei maggiori intellettuali viventi, noto per le sue teorie sulle libertà e sull’uguaglianza nonché premio Nobel 1998 per l’Economia – ha tutt’altri scopi. Non è difficile considerare noi stessi diversamente differenti da chi ci circonda, una volta data un’occhiata alla lista appena completata e avendo dei buoni motivi per sospettare che anche quella di tutti gli altri – ma proprio tutti – sia così lunga e articolata. Talvolta persino bizzarra nel permettere a due modi di essere che non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro di stare sulla stessa riga. E dunque, si domanda l’economista indiano, come è possibile appiattire tutte queste pluralità, che distinguono l’essere umano in quanto tale, e rinchiuderle in classificazioni rigide e semplicistiche? “Il mondo – lamenta Sen – viene spesso visto come se fosse un insieme di religioni (o di ‘civiltà’, o di ‘culture’) ignorando le altre identità che gli individui possiedono e giudicano importanti”. È superfluo far notare come tali suddivisioni siano diventate familiari nel periodo immediatamente successivo all’11 settembre di cinque anni fa. Slogan come “scontro di civiltà” vengono comunemente accettati senza che ci sia un reale ragionamento dietro alla definizione di “civiltà”. Non è forse composta di uomini, donne, eterosessuali, omosessuali, laici, religiosi, violenti, pacifisti? E se tutto questo – e molto di più – non si fa fatica a individuarlo nella limitata porzione di mondo che chiamiamo occidente, per quale ragione non si dovrebbe credere che anche nel blocco opposto ci siano queste ed altre contraddizioni? Gli individui, ecco cosa vuole svelare Amartya Sen. Sono loro che abitano il mondo; le nazioni, i continenti, non sono altro che un insieme di individui. E come tali, ognuno ha dentro di sé diverse identità che convivono e sono il motore di ogni azione quotidiana, a New York come a Dhaka. Ogni giorno chiunque, senza rendersene conto, prende delle decisioni a seconda della contingenza, dando più o meno importanza ad una determinata identità – in una cena ad esempio si darà più importanza al fatto di essere vegetariani, piuttosto che di essere una femminista convinta. È un’esperienza banale e facilmente constatabile. Eppure, si continua a parlare di “mondo islamico”, come fosse un’unica entità, non considerando che comprende visioni religiose decisamente diverse tra loro. Ma non è solo questo il punto. Sen ha il merito di spostare l’attenzione sulle altre innumerevoli caratteristiche umane che prescindono dalla religione, e che pure hanno un rilievo notevole nell’attimo in cui si tratta di prendere decisioni. Resta da spiegare il resto del titolo: “Identità e violenza”. La violenza non può che essere un’ovvia conseguenza del suddividere in base ad un criterio unico vaste fette di umanità, contrapponendo blocchi opposti. Non esiste più uno studioso, un religioso, un padre di famiglia, un ambientalista. Esiste solo un musulmano. Come si può non giungere ad uno scontro se ci si lascia convincere che il suo essere musulmano è in contrasto con il nostro essere cristiani – ignorando il fatto di essere noi stessi studiosi, padri di famiglia, ambientalisti – ? Non è esagerato considerare un tale testo – che sembra in realtà scoprire l’acqua calda – una luce nelle tenebre in cui persino gli intellettuali hanno sprofondato l’opinione pubblica. Anche chi si oppone alla logica dello scontro di civiltà tira in ballo i cosiddetti “musulmani moderati”, cercando di spiegare che in fondo l’islam non è così male, non riuscendo ad uscire dalla categoria religiosa. “Non dobbiamo mai permettere che la nostra mente sia divisa in due da un orizzonte”, conclude Sen.