Le statistiche parlano chiaro: popolo di poeti nei luoghi comuni, ma di pigri lettori nella realtà. Stando a recenti dati Istat il livello nazionale di lettura è tornato ad essere il medesimo del primo decennio del novecento, ossia di un secolo fa. C’è stata, si, un’impennata a metà degli anni ’90, ma la parabola è tornata poi lentamente ad essere discendente. Inutile chiedersi il perché, o meglio, sarebbe anche utile, ma tanto ogni studioso fornirebbe la sua personale interpretazione del fenomeno, senza peraltro suggerire soluzioni stimolanti. Troppo banale dare la colpa a programmi TV spegni-cervello, goia solo dei più bassi istinti. Inutile tirare in ballo lo stile di vita alienante composto di lavoro alienante, spostamenti mattutini e serali alienanti – oltre che snervanti – e famiglia esigente da cui però è impossibile alienarsi. La conclusione della giornata è quasi ovvia, se non altro perché è meno faticoso il limitato movimento del pollice sul telecomando piuttosto che l’articolata rotazione dell’indice necessaria per voltare pagina.
Insomma, inutile formulare ipotesi, bisogna rassegnarsi. Ciò che invece è ben più preoccupante del fatto che non si legge più, è che si è smesso di comprare libri. No, non c’è alcuna incongruenza logica. Chi pensa che comprare libri e leggerli siano due atti indissolubilmente legati pecca di ingenuità. Vi sono infatti infiniti motivi che spingono un individuo al temerario acquisto; portare casualmente sottobraccio l’ultimo libro del professore lasciandone intravedere la copertina durante il ricevimento può servire nel periodo degli esami. Oppure si possono rifilare le opere di Giorgio Faletti come regalo di compleanno all’amico che a Natale si è presentato con due presine da cucina, inutili in quest’occasione perché la vendetta è un piatto freddo.
A preoccuparsi del peggioramento della situazione è Emanuele Bevilacqua, un profondo conoscitore del “mondo dei media” vista la sua collaborazione relativa ai temi della comunicazione con l’Università di Urbino e La Sapienza di Roma. Neanche a dirlo poi, è anche uno scrittore. Ed è per l’appunto in un libricino di appena 73 pagine dal titolo La biblioteca di Fort Knox, ovvero come salvare i libri da una fine sicura – edito da Cooper – che esprime tutto il suo rammarico. Ciò che proprio non riesce ad accettare è il fatto che quest’oggetto dalla copertina rigida o flessibile sia diventato del tutto inutile. Qui è lecito trovare un colpevole, tanto più che non c’è bisogno di chissà quale affannosa ricerca: trattasi del più economico filesharing. Ebbene sì, si è giunti finalmente a colpevolizzare la tecnologia. È questa a rendere il libro addirittura “antipatico”, in quanto, come non può fare a meno di notare lo scrittore, “raccoglie polvere, si ingiallisce e sta lì inerte, senza voce né immagine”. E invece, va dimostrato chiaramente che i libri possono essere ancora utili, anzi utilissimi. Non si legge più? Quelle che continuano a chiamarsi librerie sono sempre più invase da “ninnoli e pupazzetti e foto dei bimbi e candele monche e sigari rinsecchiti e bottiglie di sherry ereditate dal nonno”? È giunto il momento di mostrare le molteplici funzioni di questi oggetti cartacei, non di certo perché si ricominci a leggere, ma perché almeno si torni ad un livello standard di vendite.
Quindici sono gli usi alternativi che Bevilacqua suggerisce ai suoi – consapevolmente pochi – lettori, facendo sfoggio di una notevole fantasia e di una irresistibile ironia. Chi non ha mai pensato a mille e più modi per sbarazzarsi di un ospite che, anche se inizialmente gradito comincia a non esserlo più svariate fette di dessert dopo? Ecco la soluzione: costruire seggiolini di libri in salotto – avendo cura di posizionare il volume di un’enciclopedia alla base e un diario dal rivestimento imbottito in cima. La durata massima delle visite non supererà così i quaranta minuti. Per non parlare poi dell’utilità di portare a spasso un libro dalla copertina rigida e plastificata in caso di pioggia. È facile da maneggiare e si può abbandonare in borsa, senza più il terrore di scordare l’ombrello a casa. A proposito del mandare la cultura in fumo, si possono fare molti viaggi mentali interessanti grazie ai libri. L’autore dice di aver provato con “Sull’hascisch” di Walter Benjamin, utilizzando solo le pagine più leggere tenendole qualche minuto a seccare in forno. L’operazione difficile è stata mescolare la sigaretta a Benjamin, per avere poi delle esperienze psichedeliche impressionanti. Dopo vari tentativi, lo scrittore si sente di poter dire comunque che “‘Megatrends’ di Naisbitt era troppo leggero, come non fumarlo”, e che “‘I promessi sposi’ fa avvertire un continuo e permanente odore di papaia e ananas macerati al sole”, il che non deve essere del tutto piacevole. Ai lettori l’ardua sentenza. Ma lo studioso sa dove far leva per convincere il moderno borghese, e non esita a citare un’indagine confermata dal Boston Consulting Group, secondo cui “gli appartamenti con una densità maggiore di 2,5 libri per metro quadro presentano un indice di frequentazione dei topi d’appartamento inferiori alla media nazionale”. In sostanza, statisticamente più libri contiene una casa, meno possibilità ci sono che questa venga svaligiata. Si ricorre veramente a tutto pur di risollevare un settore economico in crisi.
Fra i tanti optional citati dall’autore, se ne può aggiungere un altro particolarmente indicato per questi tempi. Strappare le pagine in striscioline non troppo sottili pronte, una volta appallottolate, per essere applicate all’interno del padiglione auricolare. Così, se proprio non si riesce più a far leggere, se non c’è speranza di risollevare la media culturale, non ascoltando più i vari ‘tuttologi’ o ‘esperti in’ o ‘consiglieri di’ almeno un risultato lo si ottiene. Si evita di rincretinire ulteriormente.