Roberto e la bambina folle

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C’è un quaderno con la copertina nera, un miniregistratore che registra una conversazione compromettente, un teatro che va a fuoco, un attore che scompare, l’idea di un ricatto, un tradimento, doppiaggi di film porno…

Pubblichiamo volentieri questo testo della nostra amica Tea Ranno, scrittrice e autrice del romanzo Cenere. Tea ora tiene un blog sul sito delle edizioni e/o, se volete confrontarvi con lei sulle questioni della scrittura

C’è un quaderno con la copertina nera, un miniregistratore che registra una conversazione compromettente, un teatro che va a fuoco, un attore che scompare, l’idea di un ricatto, un tradimento, doppiaggi di film porno… Insomma, ci sono tutti gli ingredienti per scrivere una storia “all’americana”, con molta suspense, molto rumore, buone virate verso la dimensione sesso. Chissà, forse così l’avrebbe scritta Ellroy. Paola Pitagora, invece, si è servita di questo “materiale” per tracciare una storia che non scivola sulla superficie del reale ma scava in profondità, in quei luoghi dell’uomo in cui residuano pezzi di dignità che non si è riusciti a svendere del tutto.
Questa la trama: l’attore Roberto tiene un diario, gliel’hanno regalato due stagioni prima, non se ne separa mai. E’ un quaderno in cui annota tutto, ma proprio tutto, anche quello che non dovrebbe, che potrebbe nuocergli, ma nuocergli davvero, tanto da indurre qualcuno, chissà, a sbarazzarsi di lui.
Un diario che però, mano a mano che se ne sfogliano le pagine, comincia ad apparire come qualcosa di diverso dalla semplice cronaca dei fatti che animano la vita della compagnia (impegnata ne “Il giuoco delle parti” di Pirandello), e diverso anche dalla sua destinazione iniziale (un modo per riempire le pause d’ozio tra una recita e l’altra): piuttosto uno strumento di scandaglio, un sonar che s’immerge nel profondo e permette di guardare con lucidità ferocissima a se stesso e agli altri, di fotografarne debolezze e momenti di forza, certe lusinghe, certi abbandoni, quel modo incostante di lasciarsi vivere. Il diario, quindi, come specchio nel quale riguardarsi per cogliere ogni aspetto di sé, in un’ansia di perfezionamento che è un continuo mettersi in discussione, un costante mirare all’autenticità nonostante i molteplici ruoli che ci si trova a dover interpretare. Per esempio quello dell’amante – quel Guido che non impedisce agli ubriachi di molestare Silia, innescando il gioco che lo vedrà soccombere alla logica spietata del marito di lei – e questo proprio nel momento in cui Roberto scopre di essere anche lui un cornuto, e quindi incapace, sulla scena, di vestire i panni del traditore, di colui che si scopa tranquillamente sua moglie mentre lui coltiva il suo “giardinetto di solitudine” pensando che Lorenza faccia altrettanto. E il taccuino registra furori, rivendicazioni, la paura di trovarsi di fronte a una realtà (la fine del suo matrimonio?) difficilissima da gestire. Poi, però, l’incendio del teatro, la compagnia si scioglie; si impone la necessità di procacciarsi altro lavoro. E Lorenza? E gli altri: il Primattore coi piedi puzzolenti, la Calendaria (attrice televisiva di infimo talento), Gianluca, la sarta, l’attore anziano M.? C’è tempo di pensare anche a loro? La scrittura scivola via, accompagna Roberto verso altri luoghi, altre parti di sé di cui non era consapevole.
Leggendo questo libro, ho avuto la sensazione che Paola Pitagora non abbia smesso neppure per un istante di essere attrice, e attrice Massima, capace di agguantare il personaggio e farlo vivere dentro di lei. Se n’è riempita, dunque, e l’ha messo in scena non alla maniera solita del teatro (voce, gesti, sguardi) ma attraverso la scrittura. Insomma, Paola e Roberto P. sono diventati la stessa persona, i pensieri di lui si sono fatti pensieri di lei, il suo sentire s’è affinato, ha assunto il carattere di una voce che compendia due vite, che diventano una nel momento in cui la penna scorre sul foglio e imbastisce la storia. Una storia che in fondo esisteva già nel diario dalla copertina nera da cui Roberto non si separava mai, ma quel diario è stato, soltanto, una mappa, un itinerario che l’attrice ha lentamente percorso per svuotarsi di sé e riempirsi di lui. Che non è un fantasma, no, ben concreto il suo passaggio nel mondo, lo spazio che ha occupato, le idee che ha avuto, la possibilità di confrontarsi con una realtà all’improvviso troppo pericolosa, un mondo in cui chi sa è meglio che finga di non sapere, perché l’omertà e la menzogna sono strumento indispensabile per sopravvivere tra i criminali che popolano (con la loro faccia anonima da “impiegati di banca o idraulici”) questo nostro tempo. E allora aspettiamo che torni, Roberto, bello e abbronzato da quel viaggio oltreoceano che – ne siamo certi – ha davvero intrapreso quale “provvisoria via d’uscita”.

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