È scoppiata la danza mania: alle olimpiadi e in tv il pattinaggio di figura sul ghiaccio emoziona più dello snowboard; al Teatro dell’Opera di Roma il balletto fa più soldi dell’opera, costandone di meno; all’Auditorium si organizzano festival di danza contemporanea; e mia sorella si è data al pattinaggio artistico su rotelle due volte la settimana. Lungi da me di analizzare questo fenomeno di massa dei nostri tempi, ma, proprio a bordo pista, mentre mia sorella si esercita nel tolup e nel salkoff, decido di scrivere della coincidenza capitatami in settimana.
Una mia conoscente, Sara Lòro, talentuosa ballerina esordiente ventunenne, è entrata nel corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma e, in questi giorni, si è cimentata in due balletti. Bisogna aggiungere, prima della cronaca di questi due eventi, che la fortuna del balletto romano è dovuta, per buona parte, alla direzione artistica di Carla Fracci, quasi una leggenda internazionale vivente, alla quale spettano circa il 50% degli applausi a serata. Così la gestione Fracci in questo periodo si fa concorrenza da sola: questa settimana al Teatro Nazionale con il Festival Sostakovich e con il balletto Giselle di Jules-Henry Vernoy de Saint-Georges e Théophile Gautier al Teatro dell’Opera.
Al Festival Sostakovich la nostra Sara Lòro partecipa alla giornata dedicata al poeta russo Alexander Blok per il quale Sostakovich aveva scritto alcuni balletti. Al Teatro Nazionale, nel foyer d’ingresso, spicca una fontana con sopra una statua di un daino placcato in oro. Il pubblico sembra che parli tutto con accento del Nord Italia ed è esageratamente profumato, anche se lo spettacolo è pomeridiano. La scenografia è un pout-pourri di icone russe, manifesti del futurismo italiano, foto di Lenin e collages comunisti di propaganda. Nella prima parte una soprano russa attempata e ricoperta di paillette abusa dell’effetto chiamato “vibrato” per cantare delle poesie del poeta di gusto shakespeariano. Nella seconda un attore recita la “Missione del poeta”, scomodo poema letto da Bloch in occasione di un anniversario della rivoluzione d’Ottobre, mentre i ballerini interpretano il caos e l’armonia, la libertà e la censura. Sara Lòro, d’origine trevisana, ha una fisionomia slava e risulta molto intonata all’atmosfera del classico “balletto russo”.
Ma la serata clou è quella del balletto Giselle, inutile dire, sold out nelle cinque repliche al Teatro dell’Opera. Partecipo di buon grado alla claque (il tifo prezzolato) della Lòro e in uno scomodo palchetto sopra il palco (chiamato dispregiativamente in gergo la “barcaccia”) sono in compagnia della madre della nostra, di un ballerino omosessuale e di una ballerina bellissima di nome Claire di cui mi innamoro subito. La trama della Giselle è semplice: la Giselle viene contesa da due baldi ballerini dal culo marmoreo e muore di attacco di cuore, vergine (primo atto). Da morta vaga come uno spirito e balla con le sue simili, morte anch’esse senza aver consumato l’atto sessuale, salvando, in ultimo, il suo innamorato terreno Loys, duca di Albrecht (secondo atto). Il tutto è condito dalla scenografia barocca piena di boschi e rovine. Sara Lòro interpreta la super-solista nel primo atto con un balletto erotico di due contadini innamorati. Sfrutto l’occasione per lasciarmi andare ad un gioco di sguardi con Claire. Agli applausi sono così entrato nella parte che sto per tirare un mazzo di rose sul palco, ma rischio di colpire l’orchestra.
All’intervallo la madre di Sara Lòro mi racconta delle bellezze del loro paesino d’origine Asolo, a quanto pare, un gioiellino del trevisano. Vengo a scoprire che nel cimitero di Asolo c’è un mausoleo dell’architetto Scarpa “che lo vengono a vedere da tutto il mondo”, commissionato dalla famiglia di industriali tra i primi a costruire apparecchi televisi in Italia. Prima che ricominci il secondo atto la madre mi dice che Scarpa è morto cadendo da un ponteggio in Giappone. La ballerina Claire, intanto, mi guarda con occhi languidi.
L’altro ballerino, compagno di palco, deve essere dentro il giro del Balletto di Roma, perché, con una voce da checca, mi spara a raffica una serie di malignità e pettegolezzi sui ballerini: “questa è raccomandata”, “quello deve andare in pensione”, “peccato che il vestito non la valorizzi”. Lo spettacolo finisce nel solito boato di Bravo e Brava. Noi, la claque, urliamo più forte degli altri mentre i violinisti battono l’archetto sul leggio a mò di applauso.
Fuori Sara Lòro esce, dall’uscita artisti, con delle scarpe tacco a punta nere che fanno da contrasto alle leggiadre scarpette da ballerina bianche. Le diamo il mazzo di rose un po’ appassite e la madre si commuove.
Prima di salutarci Sara mi spiega l’ABC della mimica del balletto: tutti quei gesti delle mani e delle braccia hanno un senso quasi fossero il linguaggio dei segni. Ad esempio far ondulare il braccio verso un solista significa, genericamente, “mi stai dilettando con la tua danza”. Oppure fare una croce nell’aria come il papa vuol dire “morirai”. Ed infine unire due dita portandole dal cuore al cielo vuol dire “ti giuro amore eterno”.
Quest’ultimo gesto lo ripeto alla ballerina Claire, finalmente soli, davanti ad un bicchiere di latte e sciroppo alla menta in un bar di via Nazionale. Lei mi risponde col gesto che, nel linguaggio internazionale dei segni, significa: “due di picche”.