Passo e respiro

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Tea Ranno, autrice del bellissimo romanzo Cenere, nostra ex allieva e ora tra i docenti dei nostri laboratori on line, ha scritto per noi un testo di grande qualità sul ritmo e il movimento nella scrittura.

Tea Ranno, autrice del bellissimo romanzo Cenere, nostra ex allieva e ora tra i docenti dei nostri laboratori on line, ha scritto per noi un testo di grande qualità sul ritmo e il movimento nella scrittura. Lo pubblichiamo volentieri. Vale la pena leggerlo.

Scrivere una storia significa aprire una strada in un luogo in cui non ne esiste una. Le parole delimitano i confini, scavano il solco dentro il quale camminerà il racconto e con esso il lettore.
Una strada è dunque uno spazio più o meno ampio, più o meno tortuoso, ripido, scosceso o in salita, che collega due punti: la partenza e l’arrivo. In genere è uno spazio abitato, ma può essere anche deserto. Vi si possono aprire case, negozi, scuole, mercati; ci può essere – intorno – il nulla. Comunque esiste la strada, un nastro che porta da qui a lì. Qui comincia la storia, lì si conclude. Qui e lì possono anche coincidere. Questo accade quando la strada forma un anello nel quale è possibile girare anche all’infinito.
Dentro la strada si può camminare, correre, passeggiare, fermarsi, essere uccisi, innamorarsi, impazzire, redimersi, fratturarsi una gamba, rompersi un braccio, essere arrestati, uccidere, sbocconcellare un panino, mangiare un gelato. E mentre succede una qualunque di queste azioni, naturalmente si respira. Il respiro è affannato se si sta scappando, impercettibile se si cammina a passo lento, frenetico se si è inseguiti da un qualche assassino, frammentato se si è divorati dall’ansia, intermittente se si sta morendo.

In una storia, in cui il cammino è puramente mentale (sia lo scrittore che il lettore, infatti, non si muovono dalla sedia), il respiro viene scandito dalle parole e dai segni d’interpunzione. Esso, più propriamente, è il tempo che intercorre tra una parola e l’altra, tra una virgola – o un punto – e l’altra. E’, insomma, la frazione di fiato che occorre per leggere una frase. Il ritmo, dunque, è il respiro – ora affannoso, ora lento, ora frammentato, ora incostante – che chi percorre quella strada è costretto ad avere. “Costretto”, appunto, perché è lo scrittore che impone il tempo, la quantità di fiato necessaria tra un’azione e l’altra. E’ lo scrittore che obbliga a un certo passo, e di conseguenza a un certo respiro. Un racconto sbagliato è un racconto in cui si rompe l’equilibrio tra passo e respiro. Così accade, per esempio, quando il protagonista sta correndo (e dunque il suo fiato dovrebbe essere convulso e convulso il correre degli occhi del lettore da una parola all’altra) e il suo respiro, invece, resta placido. Perché è placida la frase che sta raccontando quella fuga: è lunga, tranquilla, addirittura oziosa, persa dentro una scansione spazio/temporale che non si conforma a ciò che in quel preciso momento richiede l’azione. Passo e fiato, dunque, devono essere in sincronia, non ci deve essere una parola di troppo, una virgola in più, un “a capo” inutile, una qualunque perdita di tempo. Se si racconta una fuga, bisogna far sentire il battere delle suole sulla strada, l’ansimare del protagonista, il suo cuore a stantuffo, l’urgenza di trovare un buco in cui nascondersi per sottrarsi alla morte. E perché ciò possa avvenire, è necessario che le parole si facciano suola che batte, respiro rotto, cuore a stantuffo. Frasi brevi, indispensabili, convulse come il fiato di chi sta fuggendo. Se invece si sta descrivendo un paesaggio, e il paesaggio è sereno, espressione di uno stato d’animo sereno, non c’è bisogno di affannarsi, di risparmiare le parole. Ci si trova a percorrere la strada liberi dall’assillo del tempo, si ammira il panorama, ci si sofferma sui dettagli, si dà agli occhi il tempo di indugiare sugli oggetti che permettono alla mente di costruire la giusta ambientazione. E il respiro, naturalmente, è lento, leggero: respiriamo e non ci accorgiamo di farlo.
Tuttavia… tuttavia… E’ vero che passo e respiro devono essere sincronizzati e che il respiro coincide col passo, ma è anche vero, però, che il tempo di percorrenza dell’intera strada deve essere commisurato alla possibilità che il lettore proceda senza annoiarsi e senza stancarsi: è l’equilibrio del tutto che entra in gioco, la capacità della scrittura di costruire un movimento che alterni tempi e fiati diversi mantenendo comunque una coerenza di struttura. Tanto più sarà riuscito il racconto quanto più variamente strutturate saranno le sue parti, movimentato il cammino e perfettamente equilibrato il percorso.

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