Gli Stati Uniti come un immenso campo di concentramento all’aria aperta, dove a farla da padrone sono ormai esclusivamente l’edonismo di massa, il consumismo, i messaggi televisivi. Con un ideologia che si esprime in poche parole: “Pensare positivo” ed “Essere carino”. Chi non si conforma a questi canoni è fuori. Out. Non può giocare la partita “truccata” della società democratica di massa. E allora non resta che la desolante emarginazione fatta di cibo scadente, programmi tv demenziali e sesso a pagamento. Un quadro che George Saunders nei suoi racconti (Pastoralia, Einaudi Stile Libero, p. 159 euro 8,26, traduzione di Cristiana Mennella ) riesce a descrivere con umorismo tagliente e corrosivo. Un altro maestro dell’inesauribile letteratura post-moderna americana.
Alle sei Mr Frendt urla dall’altoparlante: – Benvenuti al Joystick! Poi annuncia lo Spogliarello. Ci togliamo i giubbotti da aviatore e li ripieghiamo. Ci togliamo le camicie e le ripieghiamo. Le sciarpe ce le teniamo. Thomas Kirster è il bello del gruppo. Ha i muscoli affusolati e gli occhi azzurro splendente. Appena si sfila la camicia due ciccione si scapicollano a infilargli i soldi nei calzoni e gli chiedono vuoi essere il mio Pilota. Lui dice ma certo. Serve loro l’insalata. La minestra. Squilla il mio telefono e mi sento dire vieni a trovarmi nel modello dello Spitfire a grandezza naturale. Mi vorrà come Pilota? Speriamo. Dentro lo Spitfire ci trovo Margie. Dice che le hanno diagnosticato la Sindrome da Timidezza Cronica, poi mi allunga una macchinetta fotografica e mi offre dieci bigliettoni per un primo piano del coso di Thomas.
Lo faccio? Lo faccio sì.
Potrebbe andare peggio. A Lloyd Betts va molto peggio. Ultimamente ha messo su peso e gli cascano i capelli. Per tutto il turno non prende una telefonata e serve zero tavoli e finisce seduto sull’ala del P-51, a giocare a solitario tutto ringobbito coi rotoli della pancia in evidenza.
Io piloto sei tavoli e faccio quaranta dollari di mance più cinque l’ora di paga.
Dopo la chiusura ci sediamo per terra per il Debriefing. – Ci sono volte, – dice Mr Frendt, – in cui bisogna garbatamente passare a un’altra fase della vita, come per esempio certe donne in Africa o in Brasile, non ricordo quali, che si colorano la faccia o si pettinano in un certo modo appena entrano in menopausa. Mi seguite? Ormai uno dei nostri deve lasciarci. Dato che nessuno è perfetto nel senso che non resta carino in eterno, oggi dobbiamo dire addio al nostro Lloyd. Alzati, Lloyd, così possiamo salutarti. Mi dispiace. Dispiace a tutti quanti.
Oh, Signore, – dice Lloyd. – Fa’ che non sia vero.
Invece è vero. Lloyd ha chiuso. Gli tributiamo un bell’applauso, Frendt gli rifila una penna d’addio e il contenuto del suo armadietto dentro una busta dell’immondizia e gli indica la porta. Povero Lloyd. Ha moglie e due figli e un villino triste sulla tangenziale.
E’ stato un piacere! – grida disperato dalla porta, cercando di non tagliare neanche un ponte.
Madonna che stress, questo lavoro. Appena vai giù nella Classifica dei Carini sei spacciato. Le clienti ci classificano come Superfluo, Dolciotto, Sciapo, Schiappa.
A Quercia del Mar, il mare non c’è e neanche la quercia, soltanto un centinaio di case popolari con vista sul retro della Federal Express. Min e Jade allattano i pupi mentre guardano La morte violenta di mio figlio. Min è mia sorella. Jade nostra cugina. Il programma lo presenta Matt Merton, un cristone biondo che consola sempre i genitori con un’accarezzata di spalle dicendo che il dolore li ha santificati. Oggi parlano di un bambino di dieci anni che ha ammazzato uno di cinque perché si rifiutava di entrare nella sua banda. Quello più grande ha strangolato quello più piccolo con una corda per saltare, gli ha tappato la bocca con le figurine del baseball, poi s’è chiuso in bagno e non è voluto uscire finché i genitori non hanno promesso di portarlo a Fantasilandia, dove ha confessato e poi si è tuffato urlando in una gabbia metallica piena di palline di plastica colorata. Il pubblico abbaia minacce ai genitori dell’omicida mentre i genitori della vittima invitano il pubblico a contenersi, a perdonare, tanto che alla fine il pubblico abbaia minacce anche a loro. Poi mandano la pubblicità. Min e Jade posano i pupi, si accendono una sigaretta e passeggiano per la stanza studiando ad alta voce per l’esame da privatiste. Si mette male. Jade dice che “regicidio” è un virus. Secondo Min il Biafra confina con Saturno. Mi offro di aiutarle e loro cominciano a sbraitare perché le tratto come deficienti. (…)
Il pupo di mia sorella si chiama Troy. Quello di Jade, Mac. Entrano in cucina a quattro zampe e Troy s’incastra il ditino nel calorifero. Min si precipita e comincia a tirare.
Porcozio! – urla Jade. – Sta’ attenta! Piantale di strattonarlo e piglia la cacchio di vaselina. Gli farai venire un braccio lungo una quaresima!
Troy si mette a piangere. Seguito da Mac. Vado e libero Troy in un attimo. Intanto Jade e Min si prendono a sberle e per poco non scaraventano giù la tele.
Uè bella! – urla Min con quanto fiato ha in gola. – Così faresti? Mi pigli a sberle? Butti per terra la cacchio di tele? Tanto a te che ti frega!
Mi frega sì, invece! – urla Jade. – Guarda che eri tu, baldracca, che quasi staccavi il dito a tuo figlio senza un cacchio di motivo!
In quel momento zia Bernie rientra da Farmabazar con il berretto di Farmabazar, trotterella verso Troy e lo prende in braccio. Torna la calma.
Buono, buono, piccolino, – dice. – E’ tutto a posto. Va tutto a meraviglia.
Eh, già, proprio a meraviglia, – ripete Min e dà un ultimo pizzicotto a Jade.
La zia Bernie è una che mette tutti d’accordo. Non le piacciono le scenate. Quella volta che all’ipermercato un tizio le è passato sopra il piede a marcia indietro è rientrata con dieci ossa rotte. Non si è mai sposata perché nonno se l’è tenuta per le faccende di casa dopo che è morta nonna. Poi è morto e ha lasciato tutti i soldi a una mai vista né conosciuta e la zia Bernie ha iniziato a lavorare da Farmabazar. Ma non è acida per niente. Certe volte mi fa venire il nervoso per quanto è dolce. Quando dico che questo posto è una fogna dice che è contenta di avere un tetto sopra la testa. quando dico che mi sono stufato di stare sempre in bolletta dice che una volta per Natale nonno le regalò certi pastelli e lei passò la giornata a disegnare i cavallucci sul retro delle buste usate per la contentezza. Una volta le ho chiesto se le dispiaceva di non aver avuto figli. Ha risposto no, ma figurati, e poi non eravamo noi i suoi figli?
E io ho detto, sì in effetti.
Però non è vero.
(…)
Timbro il cartellino e taglio per la striscia alberata dietro la Federal Express. Gran bel posto. Un procione trotterella su una quercia caduta e si mette a rosicchiare una bici arrugginita. Uscendo dal bosco sento uno sparo. Almeno mi sembra. Potrebbe essere un ritorno di fiamma. Macché, è proprio uno sparo, perché ne sento un altro, e un ragazzetto attraversa il cortile come un fulmine urlando lo slogan della sua gang.
Corro a casa. Min , Jade e zia Bernie sono rannicchiate dietro il divano. Sembra che i pupi fossero fuori quando è iniziata la sparatoria. Hanno beccato il girello di Troy. Meno male che non lo stava usando. In teoria somiglia a un’anatra ma gli hanno fatto saltare il becco.
Che cazzo, non ne posso più! – urla Min.
Cioè che cacchio, – corregge Jade. – Vuoi che crescono come noi? Che vomitano merda appena aprono bocca?
Voglio solo che crescono, punto, – dice Min.
Senti senti, Miss Tragica, – dice Jade.
Vaffanculo, Miss Troia, – urla Min.
Non scherzo cogliona, non scherzo mica, – urla Jade dandole un cazzotto sul braccio.
Smettetela, santa miseria! – dice zia Bernie. – Invece di essere contente. Almeno abbiamo una casa. Almeno quelle pallottole non hanno preso nessuno.
Senza offesa, Bernie, – dice Min. – Ma tu questa chiavica la chiami casa?
Quercia del Mar non è un posto tranquillo. In lavanderia ci spacciano il crack e la settimana scorsa Min ha trovato un pugno di ferro nella piscina dei pupi. Potessi fare di testa mia, trasferirei tutti in Canada. (…)
Esco fuori, trovo il becco dell’anatra di Troy e lo riattacco col Superattack.
Mah, ti dirò… – mi fa zia Bernie. – Adesso pare proprio un’anatra vera. Perché, non hanno il becco rotto certe volte? Ne ho vista una così in centro.
Oh Signore, – dice Min. – Sparano in faccia all’anatra del pupo e lei dice che siamo fortunati.
Infatti, siamo fortunati, – dice Bernie.
A parte il becco sforacchiato, – dice Jade.
Sai che faccio se capita una disgrazia? – dice Bernie. – Non sto lì a rimuginare. Non gli do tutto questo peso. Mica è la fine del mondo. Ecco cosa faccio. Cosa ho sempre fatto. Ecco come sono arrivata a essere quella che sono.
E io penso, Bernie, ti voglio bene, ma dov’è che sei arrivata? Lavori in una farmacia al minimo della paga. Hai sessant’anni e sei nullatenente. Hai fatto praticamente da schiava a tuo padre e non hai mai avuto uno straccio di fidanzato.
Cioè, padroni di lamentarvi, – dice. – Ma secondo me ci sta andando di lusso.
Oh, sì, è proprio una pacchia, dice Min. poi tira su Troy da dietro il divano e gli spazzola via le schegge d’anatra dalla tutina.
Il Joysticks riapre il venerdì. Che manica di pazzi. Stanno sparando la nebbia. Un gruppo di giocatrici di bridge mi offre quindici dollari per ammucchiarmi nell’olio con Mel Turner. Prendo e mi ammucchio con Mel Turner. Poi venti dollari per mangiare le ali di pollo dalla mia mano. Così le faccio mangiare le ali di pollo dalla mia mano. Il pomeriggio vola. Arriva la sera. Le patite del bridge se ne vanno, mi capita un’associazione studentesca. Cantano canzoni piene di doppi sensi, mi smaneggiano il Simulatore e dicono che non riusciranno più a guardare negli occhi i genitali extrasmall dei fidanzati. Arriva Mr Frendt, dice che mi vogliono al telefono. È Min. sembra impazzita. Strilla vieni a casa quattro volte di fila. Quando le dico calmati, riaggancia. Richiamo ma non risponde nessuno. Che sarà mai… Min è una che va subito in paranoia. Probabilmente uno dei pupi ha un attacco di vomito. Meno male che ho l’orario flessibile.
Torno subito, – dico a Mr Frendt.
Lo spero bene, – fa lui.
(…)
A casa trovo Min e Jade che saltellano di fronte a zia Bernie, seduta immobile come una statua in un angolo del divano.
Non fare entrare i pupi! – strilla Min. – non voglio che vedano una cosa morta!
Tappati quella bocca! – strilla Jade. – Non chiamarla una cosa morta!
Si abbassa a pizzicare la guancia di zia Bernie.
Zia Bernie? – strilla. – Cazzo!
Sarà già la seconda volta che proviamo! – strilla Min. – Che cazzo insisti a fare con quella manfrina? Toccale il collo e vedi se si sente, il coso, come-si-chiama, il battito!
Cazzo, cazzo, cazzo! – strilla Jade.
Chiamo il 118 e gli infermieri arrivano e tribolano per venti minuti, poi si arrendono e dicono scusate ma sembra proprio che sia morta da questo pomeriggio. L’appartamento è un macello. Il suo cassetto coi soldi è vuoto e le suo foto di famiglia sono nella vasca da bagno.
Addosso non ha nemmeno un graffio, – dice un poliziotto.
Qualcosa mi dice che è morta di spavento, – fa un altro. – L’avrà spaventata un intruso?
Direi di sì, – dice un infermiere.
Oh Dio, – fa Jade. – Dio, Dio, Dio.
Mi siedo accanto a Bernie. Penso: mi dispiace un sacco. Mi dispiace che non c’ero quando è successo, mi dispiace che non ti sei mai divertita in vita tua, mi dispiace che non ero abbastanza ricco per portarti in un posto più sicuro. Mi ricordo quando era giovane e portava i pantacollant rosa e ci fabbricava le collanine di carta con le ricevute di Farmabazar cantando Ma che bel castello marcondiro-ndiro-ndello. Per tutta la vita non aveva fatto altro che sgobbare. Non aveva mai fatto male a nessuno. E guarda come è finita.
Morta di spavento in un appartamento pidocchioso. (…)
Bernie viene seppellita a St.Leo, sulla collina vicino alla BastCo. La sua parte di cimitero è di uno squallore totale. Niente angeli, né casette di pietra, né fiori, solo un’accozzaglia di lapidi tipo dossi del parcheggio e bicchieri di carta sparsi in giro. Padre Brian recita una preghiera poi in teoria uno di noi dovrebbe parlare. Ma di che? Zia Bernie una vita non ce l’ha mai avuta. Non si è mai sposata, non ha fatto figli, ha conosciuto solo il lavoro. S’era mai fatta una crociera? Solo l’autobus conosceva. Una volta l’aveva preso con mamma per andare a Quigley in Kansas a giocare al casinò e a fare acquisti in uno spaccio a prezzi scontati. Mentre lei e mamma guardavano lo spettacolo di Roy Clark erano entrati in camera, le avevano fregato tutti i vestiti e scacazzato nella valigia. Fine. Le sue esperienze di viaggio si chiudono qui. Dopo ha conosciuto solo Farmabazar, notte e giorno. Dopo quindici anni alla Cassa l’hanno retrocessa al Banco Accoglienza. La gente chiedeva dove stavano i lassativi e lei indicava un cartello grosso sul muro che diceva Lassativi. (…)
Squilla il telefono. È Padre Brian. Ha una voce…Dice scusate se disturbo a quest’ora, ma è successa una cosa strana. Una cosa brutta. Una cosa, diciamo, abominevole. Sono seduto? No, ma rispondo di sì.
Sembra che qualcuno abbia deturpato la tomba di Bernie.
La prima cosa che penso è che non c’è neanche la lapide. Solo l’erba. L’erba mica la deturpi. Che avranno fatto, pisciato sull’erba della tomba? Ma Padre Brian sta quasi piangendo. (…)
Al posto della tomba c’è soltanto una fossa. Dentro la fossa, Bruma d’Ambra, scoperchiata. Dentro Bruma d’Ambra, niente. Nessuna traccia di zia Bernie. (…)
Il giorno dopo torno al lavoro. Non ne ho tanta voglia ma ci servono i soldi. L’erba è bagnata e attraversare il burrone con le scarpe eleganti è una faticaccia. Hanno la suola liscia. In più mi stanno strette. Inciampo varie volte nella cartella. Dentro ci tengo i miei perizomi e una roba schiumosa.
Decido subito di prendermi una tavolata di impiegate sedute sotto uno striscione che dice BUONA FORTUNA BEATRICE, AMICHE COME PRIMA. Mi tolgo la camicia e servo l’insalata. Mi tolgo i pantaloni da aviatore e servo la minestra. Una lascia cadere un dollaro per terra e mi dice raccoglilo pure.
Lo raccolgo.
Non così, non così, – dice lei. – Girato dall’altra parte, così quando ti pieghi ti vediamo lo spacco.
L’ho fatto un milione di volte, ma chissà perché adesso non ci riesco.
La guardo. Lei mi guarda.
Che c’è? – dice. – Ti sei offeso? Non è tutto lì il bello?
Infatti, Phyllis, il bello è tutto lì, – dice una collega. – Fatti vedere.
Senti, – dice Phyllis. – O ti pieghi come ho detto o restituisci il dollaro. Mi sembra che ci puoi stare.
Stai andando benissimo, – la conforta l’amica.
Restituisco il dollaro. Vado a sedermi un po’ nello spogliatoio. Per la prima volta in assoluto mi votano Schiappa. Una tavolata di tredici impiegate che mi votano schiappa, dalla prima all’ultima. Sanno in che situazione mi trovo? In quel caso voterebbero così? Ma che dovrei fare? Dovrei uscire e dire. Vi prego signore, mi è appena morta la zia, in più il suo cadavere è scomparso? (…)
Chiamo casa dal telefono a scatti per vedere se serve qualcosa dal supermercato.
Vieni a casa, – dice Min fra i denti. – Vieni dritto a casa.
Che c’è?
Vieni a casa, – dice.
Magari qualcuno ha trovato il corpo. M’immagino zia Bernie nuda, o tagliata in due, o lunga sulla panchina della fermata. Spero e prego che le abbiano fatto giusto un piccolo sfregio, qualcosa facile da mandare giù.
Trovo la porta di casa spalancata, Min e Jade sedute sul divano immobili come statue, i pupi in braccio, che fissano la sedia a dondolo. Sulla sedia a dondolo c’è Bernie. Il corpo di Bernie.
Stessa permanente, stessi occhiali, stesso vestito blu con cui l’abbiamo sepolta.
Che ci fa lì? Chi può essere tanto crudele? E noi che dovremmo farci?
Poi si volta e mi guarda.
Ti vuoi sedere cazzo! – dice Bernie.
Non ha mai detto parolacce in vita sua.
Mi siedo. Min strizza la mano e poi la molla, la strizza e la molla, strizza e molla.
Tu signorino, – mi dice Bernie, – inizierai a far vedere il cazzo. A metterlo in mostra. Ti presenti, e se la signora vuole vederlo, cioè se caccia i soldi per vederlo, le faccio un’impronta di pollice in fronte. Vedi la ditata e ti fai avanti. Cercherò di rimediartene cento bigliettoni al giorno. Settecento a settimana. Tutti sull’unghia, esentasse. Niente trattenute. Capito? È questa la cosa fica.
Ha i capelli pieni di terra, i denti pieni di terra. È tutta scarmigliata. Caccia fuori la lingua per leccarsi le labbra: è nera.
– Tu, Jade, – dice, – da domani attacchi a lavorare. Da Andersen, tra la Quinta e la Rivera. Mettiti in tiro quando vai. Un vestituccio carino. Fagli vedere le gambe. (…) A fine mese prendiamo i soldi che hai guadagnato tu e il cazzo di tuo fratello e ci compriamo una casa nuova. In un posto più sicuro. Sarebbe la Fase Uno. Tu, Min, guarderai i pupi. In più smetti con le sigarette e impara a cucinare. Basta con la roba in scatola. Bisogna mangiare bene per apparire al meglio. Perché mi rimedierò tanti di quei fidanzati. Magari non lo sapete, ma sono morta vergine, cacchio. Niente bambini, niente fidanzati. Niente entrava e niente usciva. Ah, ah! secca come il deserto, completamente sprecata, questa cosina che Dio m’ha messo tra le gambe. Be’ adesso mi farò dei fidanzati, brutti stronzi! Come nei film, spalle larghe e tutti gli annessi e connessi, la casa al mare, viaggi di sogno e al mattino un gran vaso di fiori nella mia stanza, e me ne starò davanti all’oceano con la brezza che m’inturgidisce i capezzoli, a mangiare un cocktail di scampi, figli di puttana, mentre il mio fidanzato mi guarda dalla veranda, con le spalle larghe e splendenti, che non vede l’ora di saltarmi addosso, ve lo garantisco stronzetti! Ah, ah! Pensate che scherzo? Col cacchio. Non ho mai avuto niente. Ho fatto una vita di merda! Manco su un cacchio d’aeroplano sono mai stata. Ma quella era la mia vita passata, adesso cambio registro. Cambio vita. Copritemi! Con una coperta. Devo fare il mio riposino di bellezza. Dite a qualcuno che sono qua e vi faccio secchi. Faccio secchi tutti quanti. Uscitevene con qualcuno e faccio secco pure lui. Lo uccido con la mente. Davvero. Ho una forza che manco ve l’immaginate. Ho i superpoteri! Perciò niente visite. Non sono esattamente in forma. Intesi? Intesi?